LA “SCOMPARSA” DELLA LIMITATA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI.

3 March 2023

LA “SCOMPARSA” DELLA LIMITATA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI.

L’art. 378 del c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha modificato e integrato la disciplina dettata, in particolare, da due articoli del Codice civile: l’art. 2476 e l’art. 2486. La riforma interviene, intaccando sensibilmente – se non, secondo alcuni interpreti, eliminando del tutto – l’autonomia patrimoniale perfetta delle società di capitali ed estendendo, in via diretta e solidale agli amministratori, la responsabilità del danno arrecato ai creditori per la mancata conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Approfondiremo, in questo primo articolo sul punto, la portata e le conseguenze delle modifiche introdotte all’art. 2476 c.c..

 

  1. Gli obblighi in capo agli amministratori

Il nuovo comma 6 all’art. 2476 c.c. impone, in capo agli amministratori di s.r.l. e di s.p.a., uno stringente dovere di prevedere adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, dalla cui inosservanza deriva una responsabilità – diretta e personale – nei confronti sia della società sia, laddove ne derivi la compromissione del patrimonio societario, dei creditori sociali.  

Pertanto, ai fini dell’individuazione della responsabilità degli amministratori, i giudici sono ora chiamati ad esprimersi sull’adeguatezza organizzativa, più che sulle condotte esteriori poste in essere, come avveniva in passato. Tuttavia, il tribunale non potrà operare un sindacato di merito quanto alla convenienza delle scelte gestorie, ma potrà accertare il corretto svolgimento del processo decisionale seguito dagli amministratori.  

Gli amministratori, quindi, saranno esonerati da responsabilità, laddove dimostrino di essere esenti da colpa e ove abbiano manifestato il proprio dissenso rispetto all’operazione, potenzialmente dannosa, compiuta da altri amministratori.  

 

 

  1. L’azione di responsabilità esperibile anche dai creditori sociali

L’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale costituisce il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità, la cui esperibilità è attribuita oggi anche ai creditori sociali. A tal fine, il creditore sociale dovrà fornire prova della concorrenza di tre presupposti:  

  • il pregiudizio patrimoniale, costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le rispettive ragioni di credito; 
  • la violazione da parte dell’amministratore degli obblighi, sullo stesso incombenti, relativi alla conservazione del patrimonio sociale; 
  • il rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta.

Per la situazione di insufficienza del patrimonio sociale, conseguenza della mala gestio dell’amministratore, è sufficiente la violazione degli obblighi incombenti sull’amministratore. 

La norma in parola, pertanto, con l’introduzione di tale autonoma azione, presuppone che l’oggetto della pretesa del creditore sociale coincida con il diritto vantato dal medesimo nei confronti della società e rimasto insoddisfatto. L’amministratore sarà, quindi, aggredibile da parte di ciascuno dei creditori rimasti insoddisfatti e la sua responsabilità commisurata al danno patito dai creditori in conseguenza dell’insufficienza del patrimonio della società. 

 

  1. Una recente sentenza del Tribunale di Firenze

Il Tribunale di Firenze, con una recente sentenza del 21.12.2021, ha condannato gli amministratori di una s.r.l., riconoscendo la responsabilità di questi ultimi nei confronti dei creditori sociali per aver omesso il versamento di imposte, per aver indebitamente proseguito l’attività di impresa e per aver stipulato un mutuo, che ha trasformato un debito chirografario in debito privilegiato.  

La decisione è scaturita dalla presenza di indici di impresa negativi e, in particolare, dalla condotta degli amministratori, i quali avrebbero utilizzato i pochi introiti per fini differenti dalla conservazione del patrimonio sociale.  

In tale prospettiva, il Tribunale ha riconosciuto che la società non volgeva in uno stato di crisi tale da rendere impossibile il pagamento dei debiti, ma che, piuttosto, la causa dell’insufficienza del patrimonio sociale dipendeva dalla mancata attuazione, da parte degli amministratori, di scelte gestorie volte al risanamento e alla riorganizzazione della società, tali da mantenere la dimensione funzionale dell’impresa.



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