LAVORO IRREGOLARE: QUANDO SCATTA LA MAXISANZIONE.

In via generale, la maxisanzione non trova applicazione tutte le volte che viene evidenziata la volontà del datore di lavoro di non occultare il rapporto di lavoro, anche se si tratta di una diversa qualificazione dello stesso.

Ne consegue che il personale ispettivo non adotterà la maxisanzione:

– nei casi di intervenuta regolarizzazione spontanea ed integrale del rapporto di lavoro originariamente in “nero”, prima di qualsiasi accertamento da parte di organismi di vigilanza o prima dell’eventuale convocazione per l’espletamento del tentativo di conciliazione monocratica e in caso di differente qualificazione del rapporto di lavoro. In presenza di erogazione di prestazioni economiche (es. indennità di infortunio), assume rilievo la data dell’evento. Ciò significa che se la regolarizzazione del lavoratore che si è infortunato è intervenuta prima dell’accesso ispettivo, non verrà considerata spontanea (e quindi troverà applicazione la maxisanzione) se la comunicazione preventiva non è stata effettuata almeno 24 ore prima dell’infortunio e se il datore di lavoro prova di non aver occultato il rapporto di lavoro;

– e se il datore di lavoro si è trovato nell’impossibilità di effettuare la comunicazione del rapporto di lavoro a causa della chiusura dello studio di consulenza ha cui ha affidato la gestione degli adempimenti lavoro (ad esempio per ferie).

 

Criteri di irrogazione della maxisanzione

Le sanzioni si dividono in tre diversi scaglioni che variano a seconda della durata dell’illecito prima della regolarizzazione:

1)     da euro 1.800 a euro 10.800 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro;

2)     da euro 3.600 a euro 21.600 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da trentuno sino a sessanta giorni di effettivo lavoro;

3)     da euro 7.200 a euro 43.200 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta giorni di effettivo lavoro.

 

Le suddette sanzioni sono aumentate del 20% in caso di impiego:

  • di lavoratori stranieri irregolari;
  • di minori in età lavorativa (vale a dire coloro che non possono far valere dieci anni di scuola dell’obbligo ed il compimento dei sedici anni);
  • di percettori del reddito di cittadinanza di cui al D.L. n. 4/2019 (conv. da L. n. 26/2019).

 

Le sanzioni sono raddoppiate se il datore di lavoro, nei tre anni precedenti, è stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti.
Affinchè trovi applicazione la recidiva, è necessario che tali illeciti risultino definitivamente accertati (ossia sia decorso il termine per impugnare l’ordinanza-ingiunzione e/o sia stata pagata la sanzione e/o sia passata in giudicato la sentenza emessa a seguito di impugnazione della medesima ordinanza).
In caso di irrogazione della maxisanzione, non trovano applicazione le altre sanzioni previste dalla normativa sui rapporti di lavoro come quella per la mancata consegna della lettera di assunzione oppure quella sull’omessa registrazione nel LUL, salvo che il datore di lavoro non fosse tenuto ad istituirlo per il lavoratore in nero. In quest’ultimo caso trova applicazione la sanzione per l’omessa istituzione.
Troverà invece applicazione sia la maxisanzione che la sanzione prevista per aver   effettuato pagamenti non utilizzando strumenti tracciabili nel caso in cui venga accertato l’impiego di lavoratori irregolari remunerati in “nero”.

LA “SCOMPARSA” DELLA LIMITATA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI.

L’art. 378 del c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha modificato e integrato la disciplina dettata, in particolare, da due articoli del Codice civile: l’art. 2476 e l’art. 2486. La riforma interviene, intaccando sensibilmente – se non, secondo alcuni interpreti, eliminando del tutto – l’autonomia patrimoniale perfetta delle società di capitali ed estendendo, in via diretta e solidale agli amministratori, la responsabilità del danno arrecato ai creditori per la mancata conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Approfondiremo, in questo primo articolo sul punto, la portata e le conseguenze delle modifiche introdotte all’art. 2476 c.c..

 

  1. Gli obblighi in capo agli amministratori

Il nuovo comma 6 all’art. 2476 c.c. impone, in capo agli amministratori di s.r.l. e di s.p.a., uno stringente dovere di prevedere adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, dalla cui inosservanza deriva una responsabilità – diretta e personale – nei confronti sia della società sia, laddove ne derivi la compromissione del patrimonio societario, dei creditori sociali.  

Pertanto, ai fini dell’individuazione della responsabilità degli amministratori, i giudici sono ora chiamati ad esprimersi sull’adeguatezza organizzativa, più che sulle condotte esteriori poste in essere, come avveniva in passato. Tuttavia, il tribunale non potrà operare un sindacato di merito quanto alla convenienza delle scelte gestorie, ma potrà accertare il corretto svolgimento del processo decisionale seguito dagli amministratori.  

Gli amministratori, quindi, saranno esonerati da responsabilità, laddove dimostrino di essere esenti da colpa e ove abbiano manifestato il proprio dissenso rispetto all’operazione, potenzialmente dannosa, compiuta da altri amministratori.  

 

 

  1. L’azione di responsabilità esperibile anche dai creditori sociali

L’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale costituisce il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità, la cui esperibilità è attribuita oggi anche ai creditori sociali. A tal fine, il creditore sociale dovrà fornire prova della concorrenza di tre presupposti:  

  • il pregiudizio patrimoniale, costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le rispettive ragioni di credito; 
  • la violazione da parte dell’amministratore degli obblighi, sullo stesso incombenti, relativi alla conservazione del patrimonio sociale; 
  • il rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta.

Per la situazione di insufficienza del patrimonio sociale, conseguenza della mala gestio dell’amministratore, è sufficiente la violazione degli obblighi incombenti sull’amministratore. 

La norma in parola, pertanto, con l’introduzione di tale autonoma azione, presuppone che l’oggetto della pretesa del creditore sociale coincida con il diritto vantato dal medesimo nei confronti della società e rimasto insoddisfatto. L’amministratore sarà, quindi, aggredibile da parte di ciascuno dei creditori rimasti insoddisfatti e la sua responsabilità commisurata al danno patito dai creditori in conseguenza dell’insufficienza del patrimonio della società. 

 

  1. Una recente sentenza del Tribunale di Firenze

Il Tribunale di Firenze, con una recente sentenza del 21.12.2021, ha condannato gli amministratori di una s.r.l., riconoscendo la responsabilità di questi ultimi nei confronti dei creditori sociali per aver omesso il versamento di imposte, per aver indebitamente proseguito l’attività di impresa e per aver stipulato un mutuo, che ha trasformato un debito chirografario in debito privilegiato.  

La decisione è scaturita dalla presenza di indici di impresa negativi e, in particolare, dalla condotta degli amministratori, i quali avrebbero utilizzato i pochi introiti per fini differenti dalla conservazione del patrimonio sociale.  

In tale prospettiva, il Tribunale ha riconosciuto che la società non volgeva in uno stato di crisi tale da rendere impossibile il pagamento dei debiti, ma che, piuttosto, la causa dell’insufficienza del patrimonio sociale dipendeva dalla mancata attuazione, da parte degli amministratori, di scelte gestorie volte al risanamento e alla riorganizzazione della società, tali da mantenere la dimensione funzionale dell’impresa.